Tre tronconi, per tre racconti diversi ma uniti da un solo filo: il fiume malato. Come tutti i fiumi che soffrono la mancanza d'acqua, l'incuria, il disinteresse pubblico e l'interesse privato. Il Piave, dalla sorgente alla foce, ha malattie diverse. A nord il prelievo della sua ricchezza per lo sfruttamento delle centraline. Nel medio Piave le escavazioni, e in generale l'insediamento agricolo poco rispettoso dell'equilibrio biologico. A sud, gli effetti nel mare che risale con il cuneo salino e il fenomeno delle alghe. In questa prima puntata, nella discesa dal Peralba al Montello, fino a Ponte della Priula, raccontiamo come lo sfruttamento delle centraline idroelettriche, che gli ambientalisti non esitano a definire macchine-bancomat per chi le possiede, stia trasformando il fiume e il flusso delle sue acque.
VIAGGIO DAL PERALBA AL MARE
Dal Peralba al Piave sono 220 chilometri, un bacino di oltre 4 mila chilometri quadrati. La Piave che nasce al confine tra Bellunese e Austria attraverso un pezzo di Veneto come un libro di storia, aspro e lacerante. Seducente e sacro nella memoria collettiva, riaccesa oggi a cento anni dalla battaglia finale della Grande Guerra. Ma di quel fiume resta poco. La natura e la mano dell'uomo ne ha trasformato l'aspetto e l'economia. La siccità, i mutamenti climatici. Certo. Ma soprattutto la rapacità degli interessi economici. Abbiamo disceso "la" Piave per raccontarla da dentro.
PRIMA PUNTATA
Treviso. Ci pensa ogni tanto Giove Pluvio a dare l'impressione che la Piave (così si chiamano i fiumi-madre: al femminile) sia fatta d'acqua. In effetti l'enciclopedia Treccani dice che si tratta di un fiume, il quinto d'Italia, la cui "portata è soggetta a forti variazioni; si hanno infatti magre invernali, seguite da piene primaverili-estive che si esauriscono in agosto-settembre, per riprendere poi col periodo delle piogge autunnali". Sarebbe vero se le piene primaverili-estive non avessero lasciato posto a secche memorabili, l'ultima terminata due giorni fa.
LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO di TONI FRIGO la Nuova Venezia, 28 giugno 2017 (m.p.r.)
SECONDA PUNTATA
Treviso. Entrambi le chiamano coltivazioni. Ma, in termini idrici, intendono cose diverse e concorrenziali tra di loro. Stiamo parlando degli agricoltori e dei cavatori. A entrambi il medio corso della Piave (fiume-madre), di cui ci occupiamo in questa seconda puntata (dal Ponte della Priula a Ponte di Piave) del nostro "viaggio", lascia il proprio obolo fino a svenarsi e a presentarsi a valle, senza nemmeno la forza per opporsi al ritorno delle acque salate dell'Alto Adriatico. Acque che devastano le coltivazioni di mais e soia riducendole a brulle, asfittiche e ingiallite lande nelle terre veneziane.
LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO di TONI FRIGO la Nuova Venezia, 29 giugno 2017 (m.p.r.)